28 agosto 2018 - 07:11

Molestie, dall’opacità alla doppia morale: i 4 problemi del Vaticano

Il rapporto Viganò nasconde oscuri obiettivi, ma apre squarci inquietanti

di Massimo Franco

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È difficile non ricordare che tutto cominciò negli Stati Uniti nel 2002, a Boston. E non constatare che a sedici anni di distanza, i casi più eclatanti di pedofilia nella Chiesa cattolica rimandano, di nuovo, oltre Atlantico, a Washington, col caso del cardinale Theodore McCarrick. Verrebbe spontaneo concludere che in questo arco di tempo non è successo né cambiato nulla. Ma non è così. In realtà è cambiato moltissimo: soprattutto nella percezione che l’opinione pubblica occidentale ha di questi scandali e del comportamento degli episcopati e del Vaticano. Semmai, il rischio è che dopo tre Papi, centinaia di processi e miliardi di dollari e euro spesi per risarcire le vittime, si sedimenti l’impressione che la Chiesa non si renda conto abbastanza di quanto le sia cambiato intorno il mondo.

Il rapporto dell’ex nunzio apostolico a Washington, monsignor Carlo Viganò, che chiama in causa papa Francesco sostenendo che ha coperto e insabbiato dal 2013 i crimini di McCarrick, conferma per paradosso questo ritardo. Lascia emergere almeno quattro cose che continuano a non andare: l’assenza di una cultura della trasparenza; una certa confusione tra omosessualità e pedofilia, perché la pedofilia è un crimine; una «doppia morale» nell’affrontare certi temi: una pubblica e una interna alla Chiesa; e la sottovalutazione del solco profondo che vicende così dolorose scavano tra Chiesa cattolica e nuove generazioni.

È vero che nel 2002 l’allora l’arcivescovo di Boston, Bernard Law, fu fatto venire precipitosamente in Vaticano, per sottrarlo alla giustizia statunitense: oggi un sotterfugio del genere non sarebbe accettato, e questo fa ben sperare. E infatti McCarrick non è più cardinale, sebbene il provvedimento papale appaia adesso tardivo, fuori tempo massimo. Dai tempi di Benedetto XVI era stato chiesto di impedirgli altri misfatti, ma le raccomandazioni di Joseph Ratzinger furono bellamente disattese.

Il fatto che dopo sedici anni la pedofilia rimanga un tema così scottante è la conferma di una grave rimozione. Si tratta di un argomento col quale, nonostante la «strategia del mea culpa» e le reiterate richieste di perdono, il Vaticano non riesce a fare i conti fino in fondo. Lo usa piuttosto come strumento di lotta interna. Rivela le storture della «cultura del segreto» quando si tratta di colpire e delegittimare gli avversari: perfino nel caso di Francesco. Sfrutta l’indignazione del mondo laico di fronte alle narrative contraddittorie di una Chiesa che ha perso l’«unipolarismo» in materia etica e religiosa. Per questo cresce l’impressione che le parole e quanto pure è stato fatto finora non bastino più.

Anche il pontificato di Bergoglio si scopre in affanno quando cerca una strategia che colpisca il problema alla radice. Il rapporto Viganò, che almeno finora non è stato smentito dall’autore, dice che la tesi del ritardo culturale può diventare un alibi per coprire silenzi, e perfino omertà e complicità. Se un documento come quello può arrivare a attaccare frontalmente papa Francesco e gran parte dei vertici della Chiesa, è perché la questione è stata lasciata incancrenire troppo a lungo. Ora il pericolo è che le accuse contro Jorge Mario Bergoglio sgualciscano l’icona tuttora più popolare del cattolicesimo; che oscurino la sua battaglia contro la pedofilia; e che si delinei uno «scandalo infinito» destinato a schiacciare ogni Papa sotto il peso del passato.

Sia chiaro: non si vede grande nobiltà nell’iniziativa di monsignor Viganò. Come minimo, c’è da chiedersi perché l’ex nunzio abbia aspettato cinque anni prima di raccontare le sue verità infamanti. Il dubbio che la sete di giustizia sia sovrastata da una voglia di vendetta e da una manovra degli avversari di Francesco è corposo. Rimane tuttavia il contenuto del rapporto: incontri, nomi, circostanze che vanno presi con le pinze ma non possono essere ignorati come frutto di un complotto. Significherebbe banalizzare una trama dai contorni inquietanti, e preparare altri complotti contro un Pontefice indebolito e più indifeso, non più forte.

L’altro ieri sera, tornando in aereo da Dublino, Francesco ha risposto alla richiesta di un commento sul dossier Viganò: «Leggete voi attentamente e fatevi un vostro giudizio». Non si esagera se si dice che quella lettura è sconcertante per quanto insinua e afferma, arrivando a chiedere provocatoriamente le dimissioni del Papa. Porta a pensare che, dopo il Conclave del 2013 tutto giocato su Vatileaks e sulla corruzione seguito alle dimissioni di Benedetto XVI, il prossimo possa essere scandito da una sorta di «processo» interno alla pedofilia. Con dinamiche laceranti e con Francesco, il «Papa rivoluzionario», nel ruolo inimmaginabile di capro espiatorio.

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